Con questo topic metto in ordine le idee in maniera comprensibile anche al novizio in tema di giurisprudenza.
La gerarchia delle norme. Per chi non è ferrato, spiego in breve questo concetto. All’apice della gerarchia vi è la Convenzione Europea sui Diritti Umani (CEDU). Questa ha la priorità più alta, ossia, qualsiasi norma che non sia in accordo con questa non è da seguire. In effetti, il Tribunale Europeo dei Diritti Umani è l’ultima e la più alta istanza a cui si ricorre e le sue decisioni possono perfino obbligare gli stati firmatari a modificare le proprie leggi per renderle compatibile alla CEDU.
Muovendosi dall’alto verso il basso nella gerarchia delle norme troviamo: le costituzioni dei paesi firmatari, le leggi nazionali (o federali), le leggi regionali (o cantonali o dei Länder), le leggi comunali (ove si applica) e le ordinanze.
La base del diritto al ricongiungimento familiare è l’articolo 8 CEDU, che cito in seguito:
Diritto al rispetto della vita privata e familiare
1.
Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
2.
Non può esservi ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.
Ciò significa, in linea di principio, che l’eccezione prevista dal comma 2 dell’articolo 8 CEDU deve essere fondata su delle ragioni molto gravi.
Qui non si parla quindi di assegni sociali di anche 1.000 euro al mese per una famiglia disoccupata di due genitori con due figli che, sostenuti da 20.000.000 di contribuenti, significano poi 0,00005 euro al mese per contribuente, ossia, una famiglia sostenuta in Italia al 100% dallo stato costa al contribuente in media 0,06 centesimi di euro all’anno.
In effetti, la Corte Europea dei Diritti Umani sottolinea sempre che è una questione di bilanciare l’interesse della famiglia al rispetto dell’unità della stessa con l’interesse della società all’ordine ed al progresso economico.
Anche se sembra enorme, quindi, quando si calcola che una famiglia supportata disoccupata dallo stato consuma 12.000 euro all’anno ossia 200.000 euro nel caso in cui la dipendenza dall’assegno sociale perduri 18 anni, non si dimentichi che questo peso è distribuito su almeno 20.000.000 di contribuenti, il che fa un carico, in 18 anni, di 0,01 euro, ossia 1 centesimo, pro contribuente (in media).
Sulla base di queste considerazioni è già visibile come, se da un lato la CEDU possa prevedere un’eccezione in caso di delinquenza, finché il pericolo sia grave ed attuale (il che è menzionato espressamente anche nella direttiva 2004/38/EC), fare un’eccezione per ragioni economiche sembra a primo acchito completamente inaccattable.
Persino il mero fatto di una condanna penale non è sufficiente come causa di ingerenza nella vita famigliare, a meno che una somma di condanne e del comportamento attuale di una persona non sia tale da far prevedere una recidiva e questo in un delitto abbastanza grave.
Per quali ragioni, quindi, la direttiva 2004/38/EC prevede dei criteri economici? La risposta è da cercare nel cosiddetto turismo sociale. In Europa, purtroppo, esistono ancora enormi differenze tra le prestazioni sociali dei diversi paesi membri. Quindi, la migrazione da paesi senza assistenza sociale o con assistenza insufficiente a quelli che offrono prestazioni migliori può assumere dimensioni tali da destabilizzare le nazioni riceventi. Per esempio, in Spagna, da mezzo milione di stranieri nel 2009 si è arrivati a più di 4 milioni nel 2015.
Se solo un quarto di questi, ossia un milione, ricevesse prestazioni sociali, i 0,0006 euro per contribuente all’anno diventerebbero 600 euro, ai quali si dovrebbe aggiungere il costo sociale, ben più alto, di una quantità di disoccupati la più parte di estratto sociale molto basso che, non avendo nulla da fare, tendenzialmente si farebbero venire in mente occupazioni non molto legali per “arrotondare” le prestazioni sociali.
L’appellarsi al comma 2 dell’art.8 CEDU è quindi solo accettabile sotto il punto di vista di prevenire il turismo sociale, ossia per evitare che la migrazione persegua solo ed unicamente lo scopo di approfittare delle prestazioni sociali del paese ricevente. Questo scopo, però, viene a mancare quando il migrante ha lavorato e dimostra la volontà di continuare a lavorare.
Per finire, il diritto di residenza del familiare raggruppato non è un diritto proprio, bensì è un diritto derivato dal diritto di residenza del famigliare che domanda il ricongiungimento famigliare. Questo diritto persiste quindi in principio durante il legame di famiglia che giustifica il diritto derivato esiste. Ciò nonostante, la direttiva 2004/38/EC prevede eccezioni che prolungano il diritto anche al di là.
Ovviamente, inutile dirlo, le direttive europee non devono ledere la CEDU e le leggi nazionali devono adattarsi alle direttive europee – ricordo ancora una volta: la gerarchia delle norme. A notare che, per ogni scala della gerarchia esistono uno o più tribunali competenti ed i tribunali del livello gerarchico più alto possono annullare quindi le decisioni dei tribunali di livello gerarchico più basso.
Dopo queste considerazioni di carattere generale classifico i raggruppanti (i residenti che domandano il raggruppamento familiare) in tre grosse categorie:
a) Cittadini Italiani.
Il cittadino Italiano non si può per nessuna ragione espellerlo dal territorio della propria nazione. Il diritto del cittadino extracomunitario coniugato col cittadino Italiano deriva direttamente dal diritto assoluto del coniuge di risiedere in Italia ed è la conseguenza diretta del comma 1 dell’art. 8 CEDU. Questo principio è stato trasposto nella legge Italiana in forma dell’art. 19 TU immigrazione che prevede il divieto d’espulsione per il coniuge di cittadino Italiano. Conseguenza diretta delle due norme precedenti è il diritto incondizionato all’ottenimento della carta di soggiorno.
Rimangono valide le eccezioni del comma 2 dell’art. 8 CEDU, p.es. sicurezza nazionale e salute pubblica, che, ancora una volta, sono state riprese nella direttiva 2004/38/EC.
b) Cittadini EU/EEA che hanno maturato il diritto di residenza permanente.
Dopo cinque anni di residenza legale il cittadino dell’Unione matura il diritto di residenza permanente secondo l’art. 16 della direttiva 2004/38/EC. Tale direttiva è stata (e deve essere) ripresa nelle leggi nazionali di tutti i paesi membri e l’Italia non è un’eccezione, vedi D. Lgsl. 30/2007.
Basta leggere la direttiva, senza bisogno di essere un avvocato, per rendersi conto che, una volta trascorsi cinque anni di residenza legale in un paese della UE, lo straniero comunitario non può più essere espulso, salvo per ragioni importanti di sicurezza o salute pubblica che rendano imperativa l’espulsione.
Ci troviamo qui, in tali casi, di fronte ad uno straniero comunitario che, a parte il diritto di voto e a parte l’intervenire di ragioni estremamente gravi, ha lo stesso diritto illimitato nel tempo di risiedere in Italia che ha un cittadino Italiano.
Il diritto del coniuge extracomunitario deriva dal diritto del coniuge comunitario residente permanente. Questo non significa che il coniuge extracomunitario diventa residente permanente immediatamente (lo diventerà anche lui dopo cinque anni di residenza legale) ma che il suo diritto di vivere con il coniuge Italiano è la conseguenza diretta del comma 1 art.8 CEDU.
Qui, la differenza tra il coniuge di cittadino Italiano e di cittatino comunitario residente permanente è solo ed unicamente nel fatto che il cittadino Italiano non può mai essere espulso, nemmeno in caso di ragioni estremamente gravi, mentre il cittadino comunitario residente permanente può essere ancora espulso ma solo per ragioni gravi di sicurezza o salute pubblica (non, in nessun caso, per ragioni economiche).
Conseguentemente non può essere pretesa la prova di risorse economiche al cittadino comunitario residente permanente per concedere la carta di soggiorno alla sua coniuge extracomunitaria. Questo è un principio di base che è stato spiegato molto bene nella sentenza E-4/11 della Corte Europea EFTA nel caso Arnulf Clauder contro Liechtenstein:
SENTENZA DELLA CORTE
del 26 luglio 2011
nella causa E-4/11
Arnulf Clauder
(Direttiva 2004/38/CE — Ricongiungimento familiare — Diritto di soggiorno per i familiari di cittadini dello Spazio economico europeo titolari di un diritto di soggiorno permanente — Requisito di disporre di risorse economiche sufficienti)
(2011/C 344/06)
Nella causa E-4/11 Arnulf Clauder — ISTANZA alla Corte, ai sensi dell’articolo 34 dell’accordo fra gli Stati EFTA relativo all’istituzione di un’Autorità di vigilanza e di una Corte di giustizia, da parte del Verwaltungsgerichtshof des Fürstentums Liechtenstein (tribunale amministrativo del Principato del Liechtenstein), riguardo all’interpretazione dell’articolo 16, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, quale adattata all’accordo SEE dal relativo protocollo 1 — la Corte, composta da Carl Baudenbacher, presidente, Per Christiansen (giudice relatore) e Benedikt Bogason (ad hoc), giudici, ha emesso il 26 luglio 2011 la sua sentenza, il cui dispositivo è il seguente:
l’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2004/38/CE deve essere interpretato nel senso che un cittadino SEE, titolare di un diritto di soggiorno permanente, che sia pensionato e riceva una prestazione di previdenza sociale nel paese SEE ospitante, può avvalersi del diritto al ricongiungimento familiare anche se il familiare richiederà a sua volta una prestazione di previdenza sociale.IT 24.11.2011 Gazzetta ufficiale dell’Unione europea C 344/9
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L’importante di tale sentenza (disponibile in Inglese e Tedesco in internet) è che esacerba un’interpretazione di fondo del principio di libera circolazione, argomentando che, se al cittadino residente permanente si negasse il diritto di far risiedere sua moglie con lui, questo farebbe perdere ogni senso al diritto di residenza permanente del cittadino stesso cosí come al diritto di libera circolazione per se.
È intuitivo dedurre immediatamente il parallelismo con il caso del coniuge del cittadino Italiano: se si nega a questo, cosí come al cittadino comunitario residente permanente, il diritto di vivere con sua moglie solo perché non ha risorse economiche sufficienti, lo si obbliga, in pratica, ad emigrare nel paese d’origine della moglie per poter vivere in famiglia – il che equivale di fatto ad un espulsione subdola di un cittadino Italiano o di un cittadino comunitario residente permanente, ambo proibite per legge.
Inoltre, se tutte le nazioni del mondo applicassero lo stesso principio (quindi anche il paese d’origine della coniuge extracomunitaria) questo significherebbe rendere completamente impossibile la vita di famglia, il che rappresenta una lesione gravissima del comma 1 articolo 8 CEDU senza che sopravvengano i motivi del comma 2 dello stesso.
c) Cittadini EU/EEA durante i primi 5 anni di residenza in altro paese EU/EEA
Resta da analizzare l’unico caso in cui il diniego della carta di soggiorno alla coniuge di cittadino della Unione è, sia esplicitamente che implicitamente, ammissibile secondo la direttiva 2004/38/CE. Questa prevede infatti che il cittadino comunitario debba soddisfare lui stesso a certi requisiti (alloggio sufficiente, lavoro proprio, lavoro autonomo o, in caso di persona non attiva economicamente, mezzi propri e assicurazione sanitaria) per poter ottenere la residenza.
Lo scopo di questa limitazione è esattamente quello di limitare al massimo il cosiddetto turismo sociale. Pretendendo o un’attività economica reale o mezzi propri sufficienti si evita che i nullatenenti disoccupati di un paese membro emigrino in un altro paese membro solo e per l’unica ragione che quest’ultimo offre prestazioni sociali migliori.
Per fare ciò, il legislatore Europeo, ha quindi creato un periodo transitorio di cinque anni nel quale sia il cittadino stesso di altro paese dell’Unione sia soggetto a certe condizioni per ottenere e conservare la residenza.
Nello stesso senso è da intendere la limitazione al ricongiungimento familiare per il coniuge extracomunitario del cittadino comunitario residente temporaneo. Detto diritto di residenza del cittadino extracomunitario deriva dal diritto (temporaneo, non permanente) del cittadino comunitario. Non appare quindi smisurato, visto che al cittadino comunitario stesso sono imposte, non solo per l’ottenimento, ma anche per la conservazione della residenza per i primi cinque anni, tra l’altro anche delle condizioni economiche, il pretendere lo stesso per permettere al coniuge extracomunitario il ricongiungimento. Non si tratta, in questo caso, di una discriminazione dell’extracomunitario nei confronti del comunitario.
d) Gli abusi
Si conclude questa “perizia giuridica per non esperti” con una breve analisi delle possibili cause degli abusi, spesso grossolani ed assurdi, delle pubbliche amministrazioni (non solo Italiane, vedi p.es. gli scandali pubblicati dall’illustre collegio di avvocati sull’ufficio stranieri di Barcellona).
Fondamentalmente, tali abusi si basano su una profondissima ignoranza in materia giuridica, cioè in una mancanza totale di formazione anche solo sull’alfabeto di base necessario per applicare correttamente le norme. Queste nozioni di base, come p.es. la gerarchia delle norme, l’interpretazione della volontà del legislatore e l’interpretazione teleologica (cioè dello scopo della norma), doverbbero essere impartite obbligatoriamente non solo ai funzionari degli uffici stranieri, ma persiono a tutti i membri della polizia, dei carabinieri e delle amministrazioni pubbliche che devono applicare delle leggi.
Riscontro continuamente, invece, che tali nozioni elementarissime che sono per qualcuno che lavora con le leggi l’equivalente della somma e della sottrazione per un commerciante, non sono per nulla conosciute dalla stragrande maggioranza dei funzionari e dei poliziotti.
La profonda ignoranza, a sua volta, è un terreno fertile per il fanatismo. Chi non sa è facilmente manipolabile. Chi non sa come si risolve correttamente un problema cerca di darsi spiegazioni raffazzonate per risolvere i problemi a modo suo, ed il risultato può essere, per uno che vuole fare l’ingegnere civile senza essersi laureato, che il ponte crolla, per il funzionario che vuole applicare delle leggi senza sapere come, il commettere delle ingiustizie di dimensioni spropositate con conseguenze gravissime a livello dei destini individuali.
Per fare un paragone: Il non conoscere la gerarchia delle norme, il ledere l’art. 8 comma 1 CEDU applicando un’articolo pescato a proprio gusto dalle leggi nazionali non applicabile al caso specifico solo per espellere uno straniero o negargli il permesso di soggiorno equivale al non sapere né fare le somme a mano né utilizzare una calcolatrice tascabile per un commerciante (solo che, nel caso del commerciante, si vede subito, nel caso del funzionario è necessario un minimo di cultura giuridica di base per accorgersene e qui non posso che criticare il sistema scolastico che dovrebbe far imparare a memoria la CEDU, il codice civile ed il codice penale al posto dei versetti della divina commedia).
Sulla base di questa profonda ignoranza i politici di tutti i tempi hanno fondato le loro azioni manipolatorie. Chi non è in grado, per ignoranza, di spiegarsi perché la nostra società ha dei problemi, soprattutto se anche lui ne soffre di tali problemi, cerca a tutti i costi una spiegazione semplice ad un problema difficile e dei capri espiatori. È qui che i dittatori o i politici smaliziati trovano terreno facile. Nel medioevo era la caccia alle streghe ed agli eretici. Nel Nazismo era la caccia agli Ebrei. E ora è la caccia agli extracomunitari.
Tutti questi periodi della storia dell’umanità hanno un punto in comune: l’ignoranza della popolazione, incluso quella di una gran parte di funzionari e l’emergere di un individuo che, con la sua retorica, riesce a convincere le masse con spiegazioni semplici ma completamente sbagliate delle ragioni della miseria e a movimentare le masse con delle soluzioni altrattanto semplici e sbagliate (genocidi, inquisizioni, guerre “sante”, Nazismo e oggigiorno caccia allo straniero).
È da ritenersi un segno positivo che, perlomeno al momento, questi fenomeni di abusi grossolani appaiono solo a livelli bassi della gerarchia, cioè dei semplici funzionari, mentre che se si sale la scala (rivolgendosi a giudici od ad alti funzionari) la qualità delle reazioni migliora sensibilmente. Diciamo grazie proprio al fatto che è stata creata l’Unione Europea sulla base dei valori statuiti nella Convenzione Europea dei Diritti Umani con una separazione del potere esecutivo da quello giudiziario che l’ignoranza dei funzionari, per ora, non può essere utilizzata da un capo autonominato come Hitler per fomentare rivoluzioni e guerre.