INGRESSO E MANCATA ASSUNZIONE DEL LAVORATORE STRANIERO: UNA NUOVA E INTERESSANTE SENTENZA
La vigente normativa (ed in particolare, l’art. 22 del d.lgs. n. 286/1998) disciplina la procedura di ingresso del lavoratore straniero secondo regole atte a far sì che il perfezionamento della procedura stessa si abbia nel momento in cui è stipulato il (definitivo) contratto di lavoro con il medesimo datore di lavoro, a nome del quale è stata rilasciata l’autorizzazione all’ingresso, ammettendosi il passaggio alle dipendenze di un altro datore di lavoro solo dopo che quel primo contratto sia stato regolarmente stipulato. Ciò, perché l’autorizzazione ad assumere un lavoratore straniero é rilasciata individualmente e nominativamente ad un determinato datore di lavoro ed essa presuppone, tra l’altro, la verifica dei requisiti soggettivi che devono essere soddisfatti da quel determinato datore, sicché l’autorizzazione stessa non può essere utilizzata da un soggetto diverso: un’interpretazione diversa della normativa de qua,oltre ad essere in contrasto con il sistema delineato dalla suddetta normativa, offrirebbe il fianco a pericolosi abusi, quali lo svolgimento de facto di un’attività di intermediazione nell’assunzione di lavoratori stranieri (come anche affermato dal T.A.R. Umbria con le sentenze del 29 giugno 2006, n. 333; e del 27 gennaio 2006, n. 31).
Tuttavia, nella giurisprudenza più recente si è manifestata la tendenza ad un più analitico esame delle ragioni per le quali non si è instaurato il rapporto di lavoro con il datore che aveva richiesto la relativa autorizzazione. In particolare, da un lato si è rilevato come vi siano ipotesi di impossibilità sopravvenuta dell’instaurazione del predetto rapporto, nelle quali l’attività lavorativa non può essere iniziata per cause non imputabili al lavoratore straniero (si pensi al decesso del datore di lavoro, alla cessazione dell’azienda, ecc.). Queste ipotesi devono essere assimilate alla perdita del lavoro, ai fini dell’applicazione del principio previsto dall’art. 22 del d.lgs. n. 286/1998 secondo cui la perdita del posto di lavoro non costituisce motivo per privare il lavoratore extracomunitario del permesso di soggiorno.
In proposito, va anche ricordata la circolare del Ministero dell’Interno del 20 agosto 2007, n. 3836, per la quale quando la mancata formalizzazione del rapporto di lavoro dipenda dall’indisponibilità sopravvenuta del datore di lavoro e, quindi, da causa non riconducibile allo straniero, quest’ultimo può chiedere il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione (analogamente a quanto previsto per la fattispecie dell’art. 22 del d.lgs. n. 286 cit.), sempreché alleghi alla domanda una dichiarazione del Responsabile dello Sportello Unico per l’Immigrazione attestante il venir meno della disponibilità del datore di lavoro a formalizzare l’assunzione.
In alcuni casi si é osservato che la mancata effettiva assunzione dello straniero alle dipendenze del datore di lavoro in cui favore era stato concesso l’ingresso dello straniero in Italia costituisce un’ipotesi nella quale la posizione dello straniero merita tutela in presenza di particolari circostanze, da cui si evince l’assoluta estraneità del medesimo ad eventuali comportamenti illeciti di sedicenti datori di lavoro, concretizzanti ipotesi di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per evitare elusioni e vanificazioni della normativa in materia.
Infatti, l’ingresso in Italia di stranieri per motivi di lavoro avviene sulla base di esigenze manifestate dai futuri datori di lavoro, che debbono ottenere una specifica autorizzazione, in base ad impegni da assumere verso il lavoratore, con rilascio del relativo nulla osta, nei limiti ammessi dalla normativa periodicamente emanata in tema di flussi migratori, secondo scelte che attengono sia alla quantità, sia alla qualità dei nuovi ingressi di cittadini stranieri, in termini ritenuti compatibili con le esigenze e le capacità di accoglienza del Paese ospitante.
Ne deriva l’indubbia rilevanza del rispetto dell’iter procedurale previsto, dal momento in cui il singolo cittadino straniero riceve un’offerta di lavoro al suo successivo ingresso in Italia, fino al concreto avvio del rapporto contrattuale, alla cui formazione sia il datore, sia il lavoratore si sono impegnati. Si è, quindi, evidenziato come, alla luce della valenza pubblicistica e della reciprocità degli obblighi assunti dalle parti, la normativa vigente assicuri forme di controllo e di tutela della parte più debole del rapporto, punendo con la sanzione amministrativa pecuniaria (da € 500 a € 2.500) il datore di lavoro che non comunichi allo Sportello Unico per l’Immigrazione le variazioni del rapporto di lavoro stipulato con lo straniero, e sancendo all’art. 22, comma 11, del d.lgs. n. 286/1998 il già menzionato principio per cui la perdita del posto di lavoro non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno al lavoratore extracomunitario.
Alcuni giorni fa il TAR della Toscana ha depositato una Sentenza nella quale si riconosce la sussistenza degli estremi di quella situazione di impossibilità sopravvenuta dell’instaurazione del rapporto e di mancato inizio dell’attività di lavoro per cause non imputabili al cittadino extracomunitario, in presenza della quale si applica il principio ex art. 22, comma 11, del d.lgs. n. 286/1998, che consente allo straniero di scongiurare la revoca del permesso in caso di perdita del posto di lavoro (cui la descritta situazione di impossibilità va equiparata).
Infatti il sig. ***** ricorrente nella causa de qua, nel 2009 si presentava presso il Commissariato di P.S. per espletare le formalità previste dalla vigente normativa al fine di ottenere il rilascio del permesso di soggiorno. Tuttavia, essendo risultata la sua pratica carente della prescritta documentazione (in particolare per l’assenza di una busta paga a dimostrazione dell’effettiva instaurazione del rapporto di lavoro con la ***.), veniva notificata allo straniero la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, ai sensi dell’art. 10-bis della l. n. 241/1990, e a niente serviva la precisazione in ordine alla richiesta di produrre la busta paga, ossia che ciò era per lui impossibile, in quanto la società che lo aveva richiesto non avrebbe avuto più alcuna intenzione di assumerlo.
Non è, infatti, conciliabile con le succitate esigenze di tutela della parte più debole del rapporto di lavoro una situazione in cui il lavoratore straniero possa esser lasciato all’arbitrio del datore di lavoro (ove questi intenda applicargli condizioni più gravose di quelle concordate), senza alcun supplemento di istruttoria ad opera della P.A., anche al fine di verificare il rispetto della disciplina lavoristica negli ambienti di lavoro.
Leggi la Sentenza de TAR Toscana del 1° giugno, depositata il 20 ottobre 2011, n. 1259 v. allegato