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Novità giurisprudenziali in materia di visti d'ingresso

Buongiorno, voglio segnalarvi una delle ultimissime pronunce del Tar Lazio in materia di diniego del visto d'ingresso turistico. Vi trascrivo il mio commento alla sentenza, augurandomi di essere utile a tutti coloro che intendono fare ingresso in Italia e si trovano a dover fronteggiare il rischio di un diniego, che in ragione dell'orientamento sempre più restrittivo delle ambasciate italiane, è fondato e va prevenuto.
I miei saluti a tutti
Avv. Francesco Boschetti

Tar Lazio, Sez. III Ter, sentenza n. 2911/2015 del 5.02.2015
 
Un’anziana cittadina delle Filippine ha impugnato il provvedimento di rifiuto del visto turistico, emesso nei suoi confronti dall’Ambasciata d’Italia a Manila. Il diniego del visto si è fondato sulle consuete motivazioni che le ambasciate italiane, sempre più spesso, adottano in modo strumentale e arbitrario: 1) le giustificazioni dello scopo e delle condizioni del soggiorno non risultano attendibili (motivazione, peraltro, a cui l’amministrazione ha rinunciato nel corso del giudizio, riconoscendone implicitamente l’infondatezza); 2) non è stata dimostrata con certezza l’intenzione, da parte della richiedente, di lasciare il territorio italiano prima della scadenza del visto. Il "rischio migratorio”, nel caso di specie, è stato desunto dalle seguenti circostanze: che l’interessata avesse sul proprio conto corrente delle somme di entità esigua, che fosse vedova e madre di otto figli (di cui cinque in Italia, uno in USA, uno marittimo ed un altro impiegato nelle Filippine), e infine, che la stessa non avesse mai viaggiato e fosse in età avanzata (76 anni).
A ricorrere al giudice amministrativo, oltre all’istante, è stato il datore di lavoro della di lei figlia, il quale ha argomentato di aver invitato la richiedente il visto - appunto madre della propria collaboratrice domestica - al fine di evitare che fosse quest’ultima a raggiungere l’altra nelle Filippine, così da doversi assentare dal luogo di lavoro.
Nel corso del giudizio, parte ricorrente ha depositato copia del passaporto dell’istante, dimostrando che la stessa aveva già fruito di altri visti, e pertanto si era recata in altre occasioni fuori dal proprio Paese. Inoltre - fattore che si rivelerà decisivo - l’istante ha prodotto documentazione attestante la proprietà di terreni, più la comproprietà della casa di abitazione e delle pertinenze.
Il Tar Lazio, richiamata la normativa di riferimento (precisamente: l’art. 5 del trattato di Schengen, ratificato dall'Italia con la legge n. 388/93, poi confermato dall'art. 5, comma 1, lettera c), Reg. CE n. 562/06; sul fronte nazionale, l'art. 4, comma 3, d. lgs. n. 286/98, l'art. 5, comma 6, D.P.R. n. 394/99; e ancora, il Codice Comunitario dei visti, istituito con il Reg. CE del 13.07.2009, n. 810/2009, la decisione della Commissione C(2010) 1620 del 19 marzo 2010 che istituisce il "Manuale per il trattamento delle domande di visto e la modifica dei visti già rilasciati", a sua volta modificato con la decisione di esecuzione C(2011) 5501 del 4 agosto 2011 della Commissione medesima, e infine il decreto del Ministero degli Affari Esteri del 11/05/2001, recante la definizione delle tipologie dei visti d'ingresso e dei requisiti per il loro ottenimento), ha ritenuto fondato il ricorso  sotto il profilo del difetto di istruttoria.
In primo luogo, il giudice amministrativo ha ritenuto un “indizio non significativo” il fatto che la ricorrente si fosse mostrata esitante di fronte alle domande a lei poste attraverso un interprete, al telefono, considerata la sua anziana età e la sua presumibile scarsa familiarità con le procedure in oggetto.
Premesso, inoltre, che le esigue liquidità presenti sul conto corrente dell’istante (circa 200 euro) dovevano comunque mettersi in relazione al costo della vita nelle Filippine, il Tar Lazio ha attribuito valore decisivo alla suddetta prova documentale circa la titolarità, da parte della ricorrente, di una casa di proprietà e di altri terreni, nonché alla prova, fornita dai visti d’ingresso presenti sul passaporto, che la stessa si era recata all’estero già in precedenti occasioni, seppure per pochi giorni.
Ad avviso del Collegio, pertanto, gli indizi su cui l’Ambasciata ha basato il giudizio di rischio migratorio devono essere letti secondo una diversa prospettiva, come l’età della ricorrente, la quale, piuttosto, lascerebbe intendere che ella non abbia alcuna volontà di trasferirsi in un paese lontano da quello di provenienza. Detti indizi, pertanto, sono stati ritenuti non significativi, frutto di un’istruttoria carente: vizio che ha giustificato l’annullamento del provvedimento di rigetto del visto turistico.