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Cittadinanza dopo 3 anni all'estero (SEMPRE meno di un anno nello stesso paese)

GP

Salve,

anzitutto grazie di questo utile servizio.

Sono un cittadino italiano sposato con una cittadina russa da quasi tre anni. Dopo il matrimonio in Russia abbiamo sempre vissuto all'estero, ma mai più di un anno nello stesso posto (lei sì ma per quell'anno io andavo e venivo). Per questo non mi sono mai iscritto all'AIRE. Ora vorremmo fare domanda per la cittadinanza italiana, ma - appunto - non siamo sicuri se sia possibile. Inoltre, almeno per ora - visto il collasso del mercato del lavoro italiano - non abbiamo intenzione di vivere in Italia. Quali documenti bisogna portare per dimostrare di aver convissuto durante questi 3 anni? E' possibile fare domanda anche se non abbiamo intenzione di trasferirci in Italia? Quanto conta, se conta - e se qualcuno ha la stessa nostra esperienza - il fattore 'umano' dell'impiegato/a della questura al momento della domanda?

Grazie mille per ogni informazione su questo!!

Ciao,
Giovanni
Giovanni

In assenza di figli e dovete essere stati sposati e conviventi per due anni con residenza in Italia o tre anni con residenza all'estero, vedi art.5 della legge 91/1992 (si trova nel topic da me appositamente inserito sotto "cittadinanza italiana").

Il problema della residenza è un tema veramente caotico e controvarso, un tema che è già stato trito e ritrito nel forum e per il quale ci sono state più discussioni accese, proprio perché è difficile definire il concetto di residenza in tempi odierni di globalizzazione nei quali la gente è costretta ad andare in giro continuamente e, inoltre, ogni nazione ha proprii criteri per definire e/o accertare la residenza.

Già solo le differenze dei criteri tra nazione e nazione portano, a volte, persino all'inevitabilità di avere due residenze. Esempio: un cittadino francese, di professione cuoco, che ha una casa in Francia ove vive con sua moglie e i suoi figli ma lavora in un ristorante in Svizzera 5 giorni alla settimana e dorme in una stanza affittata in Svizzera per 4 giorni su 7 è considerato residente in Svizzera, è obbligato ad iscriversi all'anagrafe e a pagare le tasse in Svizzera, ma è considerato residente in Francia anche dallo stato francese, perché ha la sua casa e la sua famiglia in Francia.

Essendo le costellazioni possibili praticamente infinite, mi limito ai fatti necessari per la richiesta di cittadinanza per matrimonio in Italia: che siate stati anagraficamente conviventi in Italia per due anni (oppure che siete stati anagraficamente conviventi in Italia per meno di due anni ma che siate stati sposati per più di tre anni e che siate anagraficamente conviventi in Italia al momento della domanda), che non ci sia separazione né legale né di fatto (se un coniuge p.es. è assente 22 giorni al mese per lavoro ma ha comunque una perdurante e regolare relazione con sua moglie, ciò non è una separazione di fatto) e che, dopo la richiesta, vi teniate disponibili al vostro indirizzo anagrafico nel caso le p.a. vogliano controllare la convivenza effettiva.

Alternativamente potete prendere la residenza (conviventi) in un altro paese e presentare la domanda di sua moglie al consolato italiano competente per il luogo di residenza all'estero. Al momento della presentazione della domanda il consolato italiano provvederà d'ufficio ad iscriverla all'AIRE, costatando, attraverso la domanda stessa, che lei è residente all'estero.

Per finire, se aveste dei "buchi di tempo" nei quali sua moglie e lei non possano dimostrare con dei certificati di essere stati conviventi, sua moglie e lei possono presentare una dichiarazione sostitutiva di atto notorio come prova di convivenza.

In linea di principio tengo a sottolineare che vale il principio "in dubio pro reo", cioè, sono le autorità italiane che devono dimostrare (se hanno delle ragioni valide per sospettarlo) che sua moglie e lei non abbiano un matrimonio vero e proprio e vivo e vegeto, e non la richiedente che debba dimostrare di aver consumato il matrimonio (ma dove si finirebbe altrimenti... forse le p.a. italiane vogliono che presentiate un film con le vostre effusioni amorose per essere sicuri che non sia un matrimonio di comodo?).

PS: Per farsi due risate. Anni fa ebbimo, mia moglie ed io, per una menata di poco valore una perquisizione in casa. Cercavano un oggetto rubato a causa di un sospetto infondato, scatenato da una coppia di Marocchini che ci detestano perché mia moglie ignora l'islam ed io mi rifiuto categoricamente di convertirmi all'islam (naturalmente la autorità ci sono andate pesanti solo perché mia moglie è marocchina, altrimenti nessun giudice di nessun paese europeo darebbe un mandato di perquisizione per una tale menata). Durante la perquisizione i poliziotti hanno trovato per terra vicino al letto un preservativo usato ancora bello pieno. Gli ho consigliato, nel caso avessero dubbi sul nostro matrimonio (con più figli), di fare una foto al preservativo ed archiviarlo come prova, perché non si sa mai. Si sono messi a ridere. Non escludo che i nostri carabbinnieri arrivino, un giorno, a fare cose del genere!!!
« Ultima modifica: 03 Marzo 2013, 12:38:46 da maxytorino »
Laureato in ingegneria a Torino
Laureato in economia ad Hagen
Specialista in Diritto di cittadinanza
Sostenitore dei Diritti Umani
Critico delle religioni, già incaricato regionale dell' IBKA
Sostenitore della psicoanalisi
Attivista contro gli abusi della psichiatria
Lingue: DE, FR, IT, EN, SP, NL

GP

Grazie mille, maxytorino,

la sua è una risposta chiara, completa e che spiega non solo cosa la normativa dice, ma anche quali ragionamenti sono necessari per capire la praticità di una norma.

In effetti ho riso non poco per la questione del preservativo. Per deformazione professionale mi sono venute in mente le riflessioni di Michel Foucault su biopotere e sessualità - cioè come lo stato e i professionisti più o meno connessi ad esso si appropriano dell'intimità dei cittadini per fini disciplinari, e come attraverso questo si formano i concetti 'normalità' e 'anormalità' che diamo per scontati e che non ci verrebbe mai in mente di analizzare criticamente.

E la ringrazio di avermi fatto fare una risata perchè la dose di xenofobia che mi pare di vedere nella legge (ma potrei sbagliarmi) mi inviterebbe invece all'austerità e alla riflessione analitica su forme di resistenza attiva. Una risata fa bene, davvero.  ;D

Un ultimo dubbio riguarda due questioni:

1.


Alternativamente potete prendere la residenza (conviventi) in un altro paese e presentare la domanda di sua moglie al consolato italiano competente per il luogo di residenza all'estero. Al momento della presentazione della domanda il consolato italiano provvederà d'ufficio ad iscriverla all'AIRE, costatando, attraverso la domanda stessa, che lei è residente all'estero.



Quanto tempo dobbiamo rimanere in quel posto all'estero dove prendiamo la cittadinanza (conviventi)? Tutto il tempo che ci vuole per sbrigare le pratiche burocratiche (cioè, se non sbaglio, più o meno 2 anni)? Con lo stile di vita che abbiamo ora per me stare due anni in un posto è inimmaginabile. Ma forse mi sbaglio, e il tempo è cumulabile (cioè se per esempio prendiamo cittadinanza allo stesso indirizzo in Svizzera e ci stiamo 10 mesi; poi andiamo in Francia, prendiamo la residenza entrambi allo stesso indirizzo e ci stiamo 2 mesi; poi andiamo negli USA, prendiamo la residenza allo stesso indirizzo per 1 anno...alla fine 10 mesi + 2 mesi + 12 mesi = 2 anni). Oppure, nei meandri di una legge che definirei escheriana se potesse venire rappresentata in litografia, vi sono altre possibilità?


2.


Per finire, se aveste dei "buchi di tempo" nei quali sua moglie e lei non possano dimostrare con dei certificati di essere stati conviventi, sua moglie e lei possono presentare una dichiarazione sostitutiva di atto notorio come prova di convivenza.


A chi dobbiamo presentare la dichiarazione sostitutiva - alla questura di Milano (dove sono residente) o al consolato italiano all'estero dove lei fa la domanda di cittadinanza?


Grazie infinite.

Giovanni
Giovanni

Non sa come la capisco!!!

Il problema è solo che la legge non è strutturata per considerare casi come il suo che sono, ormai, frequentissimi. La legge parte dal presupposto che un'individuo (una coppia) abbia "naturalmente" una dimora fissa e stabile (sia essa in Italia o all'estero), ci passi lì tutto il tempo, assentandosi solo per vacanze o per corti viaggi di lavoro.

Quindi bisogna adattarsi alla legge, non c'è niente da fare.

(a)

I tempi. Credo di aver capito che lei è sposato con una Russa da quasi tre anni e non ha figli da questa consorte. Quindi, nel peggior dei casi, dopo tre anni, la sua consorte può presentare domanda. Se la presenta in Italia in una città il cui UTG lavora "speditamente" (tutto è relativo), il decreto potrebbe averlo in 1 anno, se la presenta in posti come Milano o Bologna, ci vorranno 3 anni perché quelle UTG sono famigerate. Se la presenta in un consolato italiano, ci vorranno tra un anno e mezzo e due anni (questo è quello che si legge nel forum).

(b)

La residenza. Innanzitutto bisogna dire che una residenza ci vuole perché senza residenza si è perduti (p.es. non si può nemmeno prorogare la patente né ottenere una carta d'identitá, né si ha una tessera sanitaria). Lei, al momento, ha la residenza in Italia. E sua moglie? È chiaro quindi che sua moglie debba essere regolarizzata (se non l'ha già fatto), ma nemmeno per voler essere ligi a tutti i costi, bensì già solo per la tessera sanitaria. Non ha pensato cosa succede se, in uno dei suoi viaggi, sua moglie si ammala? Che cosa fa, paga lei di tasca sua l'ospedale a colpi di 300 euro al giorno? Quindi penso che, se lei comunque ha una residenza in Italia, dovrebbe fare la carta di soggiorno per sua moglie ed iscriverla all'anagrafe convivente con lei. Per far ciò, ci vogliono un po di sacrifici, cioè, almeno restare lì fino a quando passano i vigili ed almeno tornare regolarmente nel proprio alloggio di residenza, se non altro per non perdere eventuali notifiche. A parte ciò, gli stati della UE non sono delle prigioni sovietiche, nessuno può vietarvi di viaggiare come volete.

Nel caso, invece, che abbiate (o possiate avere) una dimora stabile per almeno due anni in un altro paese, iscrivetevi tutti e due come residenti in quella dimora, si iscriva all'AIRE e presentate domanda al consolato italiano. Anche qui, se dovete "girulare", nessuno può vietarvelo, però tornate regolarmente nel vostro luogo di residenza, almeno fino a quando il procedimento di cittadinanza è terminato e sua moglie ha giurato.

(c)

Nel caso di sua moglie, che siate in Italia o all'estero, ormai, non avendo passato tutto il tempo in Italia, vale comunque il termine di tre anni (e anche se non valesse, io, al posto vostro attederei i tre anni a decorrere dalla data del matrimonio, così i funzionari non possono trovare appigli per dichiarere irrecivibile la domanda).

Se, come ho capito, non potete dimostrare la convivenza durante tutti i 3 anni in cui siete stati sposati, allegate alla domanda la seguente dichiarazione:

DICHIARAZIONI SOSTITUTIVE DI CERTIFICAZIONI
(D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445)
DA PRODURRE AGLI ORGANI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE O AI GESTORI DI PUBBLICI SERVIZI (nel caso presente: Prefettura di città, Ufficio Cittadinanza)
Il sottoscritto  nome del coniuge italiano
nato a ..... il .....................,
residente a .....................,
Consapevole delle sanzioni penali, nel caso di dichiarazioni non veritiere e falsità negli atti, richiamate dall’art.76 D.P.R. 445 del 28/12/2000
DICHIARA

a)   di essere cittadino italiano;

b)   di essere coniugato dal ........... con la Sig.ra ..............., nata il ............;

c)   di essere convivente con la stessa dal ............... ininterrottamente fino ad oggi;

d)   di avere con la stessa .......... figli in comune, anche essi cittadini italiani;

e)   che il matrimonio non è dissolto e non vi è separazione né legale né di fatto.

Il sottoscritto emette la presente dichiarazione unicamente per il seguente uso: domanda di cittadinanza italiana secondo l’art.5 della legge 91/1992 da parte della coniuge su indicata.

città, il data

Il Dichiarante




Laureato in ingegneria a Torino
Laureato in economia ad Hagen
Specialista in Diritto di cittadinanza
Sostenitore dei Diritti Umani
Critico delle religioni, già incaricato regionale dell' IBKA
Sostenitore della psicoanalisi
Attivista contro gli abusi della psichiatria
Lingue: DE, FR, IT, EN, SP, NL


In effetti ho riso non poco per la questione del preservativo. Per deformazione professionale mi sono venute in mente le riflessioni di Michel Foucault su biopotere e sessualità - cioè come lo stato e i professionisti più o meno connessi ad esso si appropriano dell'intimità dei cittadini per fini disciplinari, e come attraverso questo si formano i concetti 'normalità' e 'anormalità' che diamo per scontati e che non ci verrebbe mai in mente di analizzare criticamente.


Anche se un po fuori tema, mi diverto a rispondere. La sessualità è da sempre uno strumento di potere nei paesi di "cultura" cattolica. Il divieto della sessualità è stato inventato ad-hoc dai preti cattolici per il semplice motivo che il vietare una cosa naturale ed inevitabile comporta la sicurezza che i sudditi non potranno evitare di commettere "peccati", col risultato che si sentono colpevoli (senza ragione, ma pochi se ne rendono conto), il che arricchiva nel medioevo i preti che vendevano le assoluzioni e, anche oggi, anche senza che le assoluzioni vengano vendute, danno potere ai preti perché i credenti comunque vanno da loro per confessarsi (o, anche se non si confessano, si sentono, anche solo inconsciamente, in colpa, il che li rende umili di fronte ai preti). Inoltre, la repressione sessuale forza la gente a sublimare (uso il linguaggio di Sigmund Freud) la libido con il risultato che vediamo tutti: una società disumana nella quale tutti fanno di tutto per correre dietro a soldi e carriera, senza rendersi conto che sia gli uni che l'altra sono delle chimere.

In questo senso, devo dire (sottolineo, dal mio punto di vista di ateo convinto fino al midollo che è stato anche incaricato regionale per la regione Nordrhein-Westphalen dell'unione internazionale degli atei www.ibka.org) che le altre religiono sono, pur essendo tutte le religioni delle malattie mentali di massa (vedi anche "Totem e Tabu" di Sigmund Freud), una sorta di "male minore". Il tanto flagellato islam, per esempio, non condanna il sesso, bensí lo loda, purché nell'ambito del matrimonio sigillato da dio attraverso la cerimonia religiosa. È ovvio che nei paesi musulmani c'è meno fanatismo economico e la gente è più rilassata. Il grande problema dei paesi musulmani è che, mentre in Europa la religione ha perso d'importanza ed è stata spazzata via dallo stato (gli stati europei sono laici in rispetto della Convenzione Europea dei Diritti Umani), nei paesi arabi c'è ancora l'islam come religione di stato. Questo è il problema, perché in quei paesi la religiosità non è un'affare privato, bensì viene propagata dallo stato, il che favoreggia il fanatismo. Il giorno in cui gli stati arabi introdurranno (come in Italia 40 anni fa) una separazione tra stato e religione, moltissime cose cambieranno. Non è escluso che, in 50 anni, gli Europei si trovino nella necessità di emigrare nei paesi arabi.



Laureato in ingegneria a Torino
Laureato in economia ad Hagen
Specialista in Diritto di cittadinanza
Sostenitore dei Diritti Umani
Critico delle religioni, già incaricato regionale dell' IBKA
Sostenitore della psicoanalisi
Attivista contro gli abusi della psichiatria
Lingue: DE, FR, IT, EN, SP, NL