E’ opinione del Collegio che la previsione di cui all’art. 28 del d.l. 69/2013 non possa trovare applicazione nel procedimento di concessione della cittadinanza ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f) della legge 91/92, in quanto, tralasciando il termine di 48 mesi introdotto dal d.l. 113/2018 e non decorso nel caso di specie, come rilevato dal Ministero, nel suddetto procedimento l’Amministrazione procedente gode di un’ampia discrezionalità, che si manifesta tanto nel momento dell’accertamento, quanto nel momento valutativo dei fatti acquisiti in sede istruttoria ed essendo, senza dubbio, un atto di «alta amministrazione», come più volte ricordato dalla giurisprudenza anche del Consiglio di Stato (vedi tra le tante CdS III 6374/2018).
Secondo la consolidata giurisprudenza del giudice amministrativo le determinazioni dell’Amministrazione relative a domande di concessione della cittadinanza italiana al cittadino straniero, che risieda in Italia da oltre dieci anni, e si trova quindi nella condizione di cui all’art. 9, primo comma, lett. f), della legge 5 febbraio 1992, n. 91, non sono vincolate e la ampia discrezionalità in questione, d'altra parte, non può che tradursi in un apprezzamento di opportunità, circa lo stabile inserimento dello straniero nella comunità nazionale, sulla base di un complesso di circostanze, atte a dimostrare l'integrazione del soggetto interessato nel tessuto sociale, sotto il profilo delle condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità di condotta.
Da tali presupposti consegue che la concessione della cittadinanza per naturalizzazione necessita di una istruttoria delicata e complessa, mediante la quale deve scongiurarsi la lesione dell’interesse pubblico per effetto dell’inserimento nella comunità di chi possa compromettere la tenuta di una pacifica convivenza, non aderendo alle regole ed ai principi che ne governano la vita politica, sociale ed economica.
I rilevanti fenomeni migratori degli ultimi venti anni hanno peraltro determinato un alto numero di richieste, nell’ordine delle centinaia di migliaia, da parte di cittadini di paesi extraeuropei, (alla data odierna i ricorsi pendenti, secondo quanto si legge nella Relazione di accompagnamento al d.l. 113/2018, sono circa 300.000) per le quali, in base a quanto riporta la suddetta Relazione, l’attività istruttoria si è complicata per effetto dei preoccupanti fenomeni di contraffazione dei documenti dei Paesi d’origine prodotti dai richiedenti e della necessità di far fronte alla accresciuta minaccia terroristica internazionale.
Tutto ciò premesso, la previsione di cui al decreto legge 69 del 2013, che prevede l’indennizzo per il mero ritardo per tutti i procedimenti amministrativi, tranne il silenzio qualificato ed i concorsi, non sembra possa avere ad oggetto anche atti di alta amministrazione quale quello di concessione della cittadinanza per naturalizzazione, sia per la peculiarità dell’ampia discrezionalità che lo caratterizza, che con riguardo alla peculiarità dell’istruttoria, aggravata non solo dalla necessità di coinvolgere autorità di pubblica sicurezza, degli organismi di sicurezza e del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, per far fronte al rischio terrorismo, ma anche dalla necessità di verificare documentazione proveniente da Stati Esteri in relazione alla quale si è assistito al significativo fenomeno della contraffazione.
Da quanto osservato, la definizione del procedimento oltre il termine previsto di 730 giorni, ora raddoppiato con il decreto legge 113/2018, deve ritenersi imputabile a cause esterne all’Amministrazione, dato anche il numero oggettivamente elevato di domande (di cui oltre il 60% non accolte) e la significativa produzione di documentazione contraffatta, ed è, pertanto, illogico che l’indennità di cui all’art. 28 d.l. 69/2013, prevista indistintamente per qualsivoglia procedimento, tanto in caso di attività amministrativa vincolata che di attività discrezionale, sulla base del mero ritardo rispetto al termine di conclusione del procedimento, trovi applicazione anche per la concessione dello status civitatis per naturalizzazione, nel quale il prevalente interesse pubblico ad accogliere stabilmente all'interno dello Stato comunità un nuovo componente e dell'attitudine dello stesso ad assumersene anche tutti i doveri ed oneri, non è altrimenti perseguibile che attraverso una accurata istruttoria sui cui tempi incidono una varietà di fattori, tra i quali anche la mancata leale collaborazione dei richiedenti, evidenziata anche dall’alta percentuale di reiezioni, ed in relazione ai quali esigenze quali la sicurezza nazionale si oppongono ad una compressione dell’attività istruttoria, per consentire la quale i termini di conclusione del procedimento devono necessariamente configurarsi come recessivi ove non esigibili.
Conclusivamente il ricorso va dichiarato improcedibile in ordine alla domanda avverso il silenzio.