Il concetto di "convivenza" è lo stesso sia per l'anagrafe che per la cittadinanza. Se vale per l'anagrafe, vale anche per la cittadinanza. Nell'art.14 c'è solamente "convivente", nulla di più. Quindi è l'anagrafe che definisce il concetto di convivenza. È anche l'anagrafe che accerta la convivenza con l'aiuto di vigili e/o collaboratori differenti. Sia un funzionario di Torino che una alta funzionaria dirigente dello stato civile di Bologna mi hanno confermato (alcuni anni fa) che è (o perlomeno era) così.
Per quanto riguarda la scuola, in Italia c'è un dovere dei genitori di istruire i figli. Questo dovere i genitori lo possono fare nella maniera che vogliono. In Italia un genitore può anche decidere di istruire il figlio a casa sua e fargli fare degli esami per far controllare il suo livello di istruzione (cosiddetta "home schooling"), cosa che in altri paesi è vietata (p.es. in Germania). Soprattutto se si decide di mettere il figlio in un collegio in un luogo anche lontano dalla propria città, non c'è assolutamente nulla da eccepire. Al massimo, le p.a. italiane possono richiedere una prova che il figlio sia veramente istruito e non lasciato ignorante, in questo caso basta un certificato della scuola in cui studia. Queste informazioni sono sicure, mi sono informato anche telefonicamente al provveditorato perché ho io stesso una figlia che, a causa del suo carattere insopportabile, mia moglie ed io siamo stati obbligati a metterla in collegio, soprattuto per evitare che dia il cattivo esempio ai nostri altri figli più piccoli. Nella fattispece, nessun collegio internato in Italia (ho telefonato a ben quattro collegi per informarmi) né pretende né accetta che i bambini vengano iscritti all'anagrafe all'indirizzo del collegio, tutti i bambini che studiano negli internati sono iscritti conviventi coi genitori e risultano a tutti gli effetti di legge conviventi coi genitori. A questo punto, che l'internato si trovi in Italia o in un altro paese, come nel caso del nostro utente peter, non vedo proprio la differenza.
Per finire, mi sembra abbastanza ridicolo che i funzionari cerchino il pelo nell'uovo con la convivenza, perché, al limite, se un funzionario vuole veramente intestardirsi, potrebbe persino mettersi a contare le ore di permanenza del bambino col genitore (o coi genitori) il che porterebbe dei risultati allucinantemente assurdi. Pensa ad una madre sola coi proprii figli che lavora 8 ore al giorno + straordinari, viaggia 1 ora al mattino ed 1 ora alla sera tra lavoro e casa. Una tale madre può tranquillamente passare più di 12 ore al giorno fuori casa, metre, p.es., la nonna si occupa dei bambini. Se poi questa madre esce pure dal sabato sera alle 20 fino a domenica notte per passare il fine settimana coll'amichetto, arriviamo al risultato che la madre passa meno della metà del tempo coi bambini, mentre la nonna (che ha il proprio appartamento) passa più di metà del tempo coi bambini. C'è qualcuno che avrebbe il coraggio di sostenere che i bambini non sarebbero conviventi con la madre, bensí con la nonna, per un tale motivo?
Ovviamente, quindi (e ciò è quello che avviene in pratica), si sono stabiliti dei criteri sommari per definire la convivenza. Questi criteri sommari si basano innanzitutto sul legame legale (patria potestà) e sulla dimora (convivenza anagrafica). Andare a cercare altri peli nell'uovo, certamente, lo può fare ogni funzionario, ma ha poco senso.
Naturalmente, siccome in Italia è tutto arbitrario, i funzionari prendono la legge come un "consiglio ben intenzionato" anzichè applicarla così com'è, alcuni funzionari sono lassi e non pretendono nemmeno il rispetto della legge, altri sono fanaticamente zelosi e pretendono di più di quello che c'è nella legge, quindi è chiaro che può succedere di tutto. Quindi, al limite, stare dalla parte della ragione e fare come dice il funzionario di turno (cioè far rientrare i bambini ed iscriverli a scuola nella propria città, se è questo che pretende il funzionario), può essere meno fastidioso (e meno costoso) che fare ricorsi dietro ricorsi per degli anni per farsi riconoscere i proprii diritti. Tutto sommato, ai bambini, di fare un'anno di scuola in Italia non gli fa male, è vero?